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Uomo in mare! – Sotto spinnaker

Recuperare a bordo una persona caduta in mare è cosa molto difficile. I fattori che rendono sempre più critica la situazione sono:

  • equipaggio non particolarmente affiatato
  • andatura in poppa sotto spi
  • vento forte e mare formato
  • temperatura dell’acqua bassa
  • naufrago che non è in grado di collaborare (sia a causa di traumi ricevuti durante la caduta, sia per la spossatezza dovuta alla permanenza in acqua o, ancora, per altre ragioni)
  • incidente che avviene di notte

E’ ovvio che un equipaggio di professionisti ben affiatato riesce a fare cose impensabili per i normali velisti, per quanto si è visto che anche gli equipaggi dell’America’s cup (sicuramente tra i più affiatati) riescono a combinare bei pasticci quando il vento supera i venti nodi e c’è da mandare a riva o ammainare lo spinnaker.
E’ opportuno sottolineare l’importanza dell’affiatamento dell’equipaggio. Un valido e navigato skipper vede ridotte di molto le sue possibilità di successo se l’equipaggio non riesce a comprendere al volo quanto bisogna tempestivamente fare.
Per recuperare un naufrago è necessario passare per queste due fasi:

  • tornare presso di lui
  • issarlo a bordo

Tra il dire e il fare …..c’è di mezzo il mare.

Tornare presso il naufrago
Per tornare presso il naufrago bisogna innanzi tutto non perderlo di vista. Il membro dell’equipaggio che ha lanciato l’allarme si deve incaricare di questo.
Se si sta navigando di bolina le manovre da fare sono abbastanza chiare e quasi tutti sono d’accordo sulle strategie da adottare.
Se invece la barca sta navigando in poppa sotto spi con vento intorno ai 20 - 25 nodi e mare formato tutto è molto più complicato perché è impossibile tornare indietro senza prima aver tolto di mezzo quella vela che un attimo prima ci stava regalando esaltanti emozioni.
La manovra codificata per ammainare lo spi e passare all’andatura di bolina consiste nell’issare il genoa per togliere vento allo spi che viene poi recuperato filando con gradualità la drizza. Una volta ammainato dobbiamo toglierlo dalla coperta evitando che cada in acqua.
Questa manovra richiede troppo tempo anche perché viene fatta in condizioni d’emergenza senza una preparazione nei minuti che precedono l’incidente. Ricordiamo che l’adrenalina è a mille perché tutti sanno che gli errori fatti possono costare la vita ad un nostro amico.
Rispetto alla manovra codificata le possibilità sono due ed entrambe si basano sulla necessità di “sparare” lo spi.
La prima manovra che viene in mente è quella di filare per occhio drizza, scotta e braccio lasciando che lo spi vada in mare. Questa manovra ha il vantaggio di rallentare immediatamente la barca. E’ relativamente semplice venire all’orza e ritornare verso il naufrago.
La manovra è semplice nella sua linearità, ma ha i suoi inconvenienti. Qualche imprevisto che impedisce alla drizza, alla scotta e al braccio di essere filati è sempre lì pronto: cime che s’incattivano su se stesse, il nodo che molti hanno l’abitudine di fare nella parte terminale delle drizza, ecc.
Appena la barca è libera dallo spi il timoniere può venire all’orza chiedendo contemporaneamente all’equipaggio di cazzare con rapidità la scotta della randa.
La seconda manovra è una variante di quella appena descritta e consiste nel filare per occhio soltanto il braccio. Ciò sventa immediatamente lo spi che viene recuperato sotto la parziale protezione della randa. Il timoniere deve aver il sangue freddo di “coprire” il più possibile lo spi con la randa e di non venire all’orza prima che la “bestia” sia stata recuperata.
Va sottolineato che la prima manovra descritta, se si ha l’abitudine di tenere sempre in chiaro drizza, scotta e braccio, è sicuramente la più semplice, rapida ed efficace.
Ovviamente, stiamo cercando di salvare la vita ad un nostro amico, vale tutto! E, quindi, aiutiamoci anche con il motore, prestando però un’attenzione maniacale a che una scotta non vada in acqua. Tutte le cime che sono in acqua quando l’elica del motore sta girando hanno una particolare predilezione per quell’organo propulsivo e vanno ad abbracciarlo con il risultato di spegnere di colpo il motore mettendolo così fuori gioco. 
Immaginiamo comunque di essere riusciti a tornare presso il naufrago. Il problema da risolvere consiste nell’issarlo a bordo. Il più è fatto? Forse no!

Issare il naufrago a bordo
Se il naufrago fosse in buone condizioni fisiche ed in grado di collaborare potrebbe essere sufficiente avvicinarsi e portarlo a bordo con l’aiuto di un paio di persone dell’equipaggio.
Se, invece il naufrago non è in grado di collaborare, il problema da risolvere, specialmente se è una persona pesante, è di non semplice soluzione.
Potrebbe essere quasi indispensabile che una o due persone, assicurate tramite una cima, si gettino in acqua per aiutare il naufrago trascinandolo vicino alla barca per cercare poi, con l’aiuto degli altri ancora a bordo, di issarlo in coperta.
Per issare il naufrago a bordo bisogna scegliere il posto della barca più adatto. Alcune barche hanno una plancetta a poppa poco sopra il livello dell’acqua. In questi casi sembra ragionevole tentare da lì la manovra, anche se la poppa, nel suo movimento violento e disordinato di beccheggio può ferire seriamente il malcapitato.
Il recupero laterale non presenta questo inconveniente, ma bisogna far scavalcare candelieri e draglie e la cosa diventa molto difficile. Le idee per portare a bordo una persona sono più di una:
un bigo realizzato tramite una drizza fatto con bozzelli in varea al boma bracciato trasversalmente alla barca sembra un idea brillante. Tutta funziona con mare calmo. La concitazione dell’emergenza non favorisce la realizzazione di un sistema di tiro che funzioni davvero. Bisogna ammainare la randa e organizzare un sistema di rinvii semplici ed efficaci. Inoltre l’ampio rollio della barca induce strappi violenti sul gancio di sollevamento del naufrago con il rischio di traumi al torace o di urti violenti contro la murata della barca. Bisogna ancora imbracare in modo sicuro il naufrago stando in acqua in modo da non provocargli ulteriori traumi. Il lavoro non appare semplice da portare a buon fine.
Un altra idea potrebbe essere quella di adoperare una vela di prua fissata per la base a prua e a poppa. Essa dovrebbe essere calata in acqua, avvolgere il naufrago, ed essere recuperata a bordo tramite una drizza realizzando così una specie di amaca che sollevi l’uomo in mare. L’idea è interessante, ma non dimentichiamo che dobbiamo far superare le draglie a tutto l’insieme. Le barche che hanno un’apertura laterale nelle draglie presentano, da questo punto di vista, un grande vantaggio.
E’ dunque realistico pensare che in condizioni meteo avverse sia molto improbabile riuscire a portare a bordo il naufrago.
L’estrema ratio consiste allora nel mandare a mare la zattera di salvataggio e di issarci sopra il malcapitato. Gli si possono quindi prestare le prime cure nell’attesa dei soccorsi chiamati via radio.
La conclusione di quanto scritto è ovvia: bisogna nel modo più assoluto evitare che qualcuno cada in mare specialmente quando le condizioni meteomarine sono dure e ancora di più durante le ore notturne.
Ciò si ottiene con un atteggiamento che implica tutta una serie di precauzioni ed apre un’interessante discussione su una serie di argomenti come cinture di sicurezza, salvagenti, ecc.
Una particolare attenzione va prestata ai bambini che sono sempre pronti alle azioni più strane ed imprevedibili.

 
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