Il tender
Si tratta di un accessorio quasi indispensabile. Esso è in pratica insostituibile per una serie d’operazioni che si compiono regolarmente da una barca in crociera: sbarcare a terra da un ormeggio in baia, caricare viveri, raggiungere una banchina all’interno di un porto con un fondale prospiciente troppo profondo per il pescaggio della nostra barca, spedare un’ancora incagliata sul fondo, dare fondo ad una seconda ancora in caso di cattivo tempo, ecc.
Se ci si ferma a riflettere si deve convenire che una o più delle situazioni appena descritte si presenta più di una volta durante una qualsiasi delle nostre crociere.
Nonostante queste premesse, raramente alla scelta del tender viene dedicata la giusta attenzione; come pure alla sua corretta sistemazione a bordo quando esso non è in uso e la barca sta navigando. Si vedono, infatti, battellini enormi al servizio di piccole barche o anche, all’opposto, tender molto piccoli stracarichi di molte persone. Che dire poi dei tender rimorchiati alla meno peggio a poppa che vengono strappati via dal vento violento di una burrasca o dei fuoribordo che, lasciati per pigrizia montati sullo specchio di poppa del battellino durante la notte, vengono a trovarsi immersi in acqua perché un colpo di vento non previsto né immaginato ha rovesciato il battellino?
Questi inconvenienti possono essere evitati con opportuni accorgimenti e, soprattutto, con una scelta attenta alle varie esigenze, operata al momento dell’acquisto.
Agli albori della navigazione a vela da diporto, ben prima dell’avvento dei materiali compositi per la costruzione degli attuali gommoni, il compito di svolgere tutte le funzioni del tender era affidato a piccole unità che venivano chiamate “dinghyes”. Si trattava di piccole imbarcazioni a vela (dai tre ai quattro metri di lunghezza) alte di bordo e ben panciute. E’ appunto imitando le linee di queste piccole unità che il progettista inglese Cockshott disegnò il “dinghy” che formò poi una classe con la quale, a tutt’oggi vengono svolte regate tra appassionati di oggetti dal sapore antico.
Nell’immediato dopoguerra la crescente diffusione della gomma naturale permise l’utilizzazione di quest’ultima per costruire scafi nei quali la spinta di galleggiamento è fornita da tubolari pneumatici gonfiabili permettendo così la realizzazione di imbarcazioni pratiche e leggere.
I sistemi di produzione e la qualità dei materiali si sono sempre di più evoluti abbattendo i costi e diffondendo come conseguenza il sistema. Infatti, ai nostri giorni parlare di tender significa, quasi automaticamente, parlare di gommoni. Alla gomma naturale sono subentrati i moderni materiali sintetici che attualmente sono, quasi esclusivamente, elastomeri o plastomeri. Gli elastomeri, in genere neoprene e hypalon, sono uniti al tessuto che ne costituisce l’anima, con la tecnica dell’incollaggio. I plastomeri permettono invece l’unione del composito (tessuto più sintetico) tramite elettrosaldatura, con abbattimento dei tempi e dei costi di produzione e con elevata resistenza e durata nel tempo.
Questi prodotti non temono il trascorrere del tempo e garantiscono dunque lunga durata in piena efficienza. Come orientarsi dunque nel vasto mercato quanto si procede all’acquisto?
I parametri da prendere in considerazione sono:
- le dimensioni della barca cui sono destinati
- la praticità, leggerezza e maneggevolezza del tender
Soltanto per fare un esempio, proviamo a tracciare una scheda di un buon tender a servizio di una barca a vela di 11/12 metri.
- dimensioni: non si dovrebbe superare la lunghezza di tre metri con una larghezza di un metro e mezzo.
- peso: non superiore ai 40/50 chilogrammi.
- camere pneumatiche separate: almeno due (meglio tre con quella di prua separata dalle due laterali).
- tientibene: almeno uno per tubolare al fine di permettere un agevole trasporto a terra e costituire un buon appiglio in mare.
- golfari: almeno uno a prua per il traino durante le navigazioni in acque tranquille e per l’ormeggio all’imbarcazione principale durante le soste in rada. Eventuali altri punti di aggancio per rizzarlo in coperta o altrove con più efficacia.
- scalmi: robusti per accogliere i remi in modo sicuro (non dimentichiamo che l’atto del remare induce forti sollecitazioni) anche se la soluzione più frequentemente adottata per gli spostamenti è l’uso del motore fuoribordo o il pagaiare in due.
- pagliolato: deve essere presente perché garantisce un piano asciutto e non è piacevole bagnarsi i piedi quando si scende a terra, magari per andare a cenare in un piacevole ristorante.
- specchio di poppa: esso deve accogliere il motore e quindi, che sia realizzato con materiale sintetico o con compensato marino, deve essere robusto e solidamente collegato ai due tubolari laterali.
La sistemazione a bordo è invece un problema di non facile e comunque univoca soluzione. Alcuni suggeriscono di sgonfiare il tender e riporlo in un gavone ogni volta che non lo si usa. La soluzione è perfetta dal punto di vista tecnico (coperta sgombra senza nessun intralcio) ma, sicuramente, un po’ scomoda per via del “traffico” che ogni volta bisogna porre in atto. Altrimenti non si può fare a meno di rizzare in coperta quest’oggetto così ingombrante, facendo ben attenzione a che non intralci le manovre e il transito verso prua. Questa soluzione non è molto brillante nei confronti della sicurezza perché, se si dovesse incappare in una burrasca veramente tosta, è quasi certo che il battellino, nella migliore delle ipotesi, vada perso.
Un altro sistema è quello di rimorchiare il tender. Esso può essere attuato soltanto quando si naviga in acque tranquille ed offre però il vantaggio di lasciare coperta e gavoni liberi da un oggetto così ingombrante. Bisogna prestare attenzione, quando il tender viene trainato, durante le manovre di ormeggio o di ancoraggio perché esso ha la tendenza di andare a mettersi proprio dove non dovrebbe stare. Se ci si ormeggia con la prua alla banchina il tender può rimanere dove sta, ma se ci ormeggia con la poppa in banchina esso va preventivamente spostato a prua durante la manovra in retromarcia.
Un tender di tipo “alternativo” è quello pieghevole detto mariposa. E’ una piccola barca che, una volta piegata su sé stessa ha la forma e le dimensioni di una tavola da surf. E’ leggera da trasportare, si apre e si chiude in pochi secondi, può portare quattro persone e può montare sullo specchio di poppa un piccolo motore fuoribordo. Può montare una randa e un fiocco che ci permettono di veleggiare in acque riparate. E’ costruito in tre dimensioni (2,60 – 3,10 – 3,50m metri). E’ troppo simpatico per non essere accattivante. Ha però anch’esso i suoi difetti. Non può essere stivato in un gavone per cui durante la navigazione sta per forza di cose appoggiato alla battagliola; questo fatto va sempre bene quando le condizioni meteo sono normalmente buone, ma non è proprio il caso di farsi sorprendere da tempo duro con una superficie di oltre un metro quadrato esposta permanentemente a prua. Non è facile risalire a bordo di esso direttamente dal mare dopo aver fatto un bagno.
Non dimentichiamo infine che la legge recante disposizioni sulla nautica da diporto, entrata in vigore durante il Luglio 2003, ha creato l’obbligo di stipulare una polizza di assicurazione per responsabilità civile per tutti i proprietari di qualsiasi tipo di motore (prima dell’entrata in vigore di questa legge era possibile non assicurare i motori fuoribordo con potenze inferiori a tre cavalli fiscali).
|