GITA A PORTONOVO
del 24 Settembre 2006
Domenica 24 settembre 2006, ore 9,00: la sveglia suona!.....Accidenti, troppo presto per alzarsi dal letto, soprattutto considerato che la sera prima, trascorsa spensieratamente in compagnia di amici ad una festa di fine estate in spiaggia, ho fatto piuttosto tardi.
Mi concedo ancora, con discreta pigrizia, dieci minuti di relax, poi però, scaduta anche questa piccola proroga, veloce giù dal letto! Del resto, già da qualche giorno avevo preso l’impegno con Andrea per un giro in barca e, se non altro essendo una delle ultime occasioni che la bella stagione mi avrebbe concesso, non potevo certo disattendere la parola data.
Uno sguardo fuori della finestra verso il cielo che appare sereno, un altro al barometro che indica l’alta pressione…..no, no, non potevo mancare dall’equipaggio della "Isla de Andres" in quella stupenda giornata!
Raccolgo così in fretta e furia le mie cose, compresi i guantini e un giubbetto impermeabile per ripararmi non tanto dalla pioggia, che peraltro non è annunciata dalle ultime previsioni meteo, quanto dal vento qualora dovesse risultare troppo fresco; poi via di corsa verso la marina Dorica a bordo del mio scooter.
Per strada una piccola sosta nel bar lungo viale Della Vittoria, giusto per un caffè veloce e, con l’occasione, per comprare una crostata da gustare durante la giornata. In barca le provviste non mancano mai ma, anche per ricambiare l’ospitalità degli altri compagni d’equipaggio, portare qualche stuzzicheria in più non guasta mai e io, solitamente, sono quello del dolce.
Entrando al porticciolo turistico e dirigendomi verso il pontile E2, con la coda dell’occhio scorgo subito da lontano gli alberi delle altre barche già in uscita; bene, sono piuttosto inclinati, segno che vento c’è.
All’ormeggio trovo già i membri dell’equipaggio a bordo, oltre ovviamente all’armatore nonché skipper di elevata esperienza Andrea, indaffarati a sistemare ciascuno le proprie cose sotto coperta. Cambiate le scarpe, salgo pure io e mi presento.
Andare in barca significa anche socializzare e far conoscenza con persone nuove, una conoscenza che nasce e si approfondisce subito per forza di cose: pochi metri quadrati – non certamente comodi – da condividere fra cinque o sei persone, numerosi compiti da ripartire – tutti connessi fra loro – e le rispettive responsabilità che ciascuno di questi comporta verso i compagni e la barca stessa, insomma, tutto fa sì che, in pochissimo tempo, si crei fra i membri dell’equipaggio, pur se mai incontratisi prima, a qualunque età, professione ed estrazione sociale essi appartengano, un profondo clima di affiatamento. E infatti così è anche stavolta. Siamo io, Enrico, Annalisa, Francesco, Andrea (il web master del sito che ci ospita), oltre appunto ad Andrea lo skipper.
Sistemate di corsa ognuno le proprie cose, Andrea affida le prime mansioni: Enrico e Annalisa a babordo per controllare che la barca non urti il natante dell’ormeggio limitrofo nella manovra di uscita; l'altro Andrea a mollare le cime di prua, io e Francesco sul pontile per mollare le cime di tribordo. Poi, mollati gli ormeggi, con un salto io e Francesco saltiamo di nuovo a bordo reggendoci alle sartie. Mentre il nostro skipper esegue le manovre al timone per raggiungere a motore l’imboccatura del porticciolo, Enrico si appresta ad aprire il lazy bag (o sacca di protezione della vela) per armare la randa, mentre io e gli altri cominciamo a liberare e mettere in ordine le varie cime di manovra delle vele disponendole sciolte sulla scaletta di coperta: si sa infatti che in barca l’ordine è uno dei presupposti principali perché tutto funzioni regolarmente, in qualunque situazione.
Usciti dalla marina, il timoniere Andrea, come da regola, posiziona la prua al vento passando poi il timone a me, mentre gli altri cominciano ad issare la randa. E’ forse questo il momento più impegnativo perché, in pochi istanti, bisogna capire quale sia la direzione del vento e, di conseguenza, stabilire la rotta e l’andatura.
Per fortuna oggi soffia un buon scirocco che, con facilità e con qualche bordo di bolina, ci porterà verso il Conero.
Issata la randa e aperto il genoa, prendiamo il largo alle ore 10,45 seguendo la rotta stabilita con una velocità di circa 5 nodi. Ovviamente, navigando sottocosta, non abbiamo bisogno di attivare la strumentazione elettronica di navigazione.
Dall’imboccatura della marina Dorica arriviamo in poco tempo avanti alla diga foranea di sottoflutto, dalla quale, da buon funzionario dell’Autorità Portuale, guardo bene di mantenere la giusta distanza di rispetto che ne interdice l’avvicinamento via mare. Come di consueto, in questa situazione mi si domandano notizie sullo stato di avanzamento dei lavori più altri dettagli tecnici della diga, che io fornisco prontamente con precisione e orgoglio.
Intanto, però, qualcuno comincia già a lamentare i primi sintomi di un leggero mal di mare. Effettivamente, ci sono delle onde piuttosto alte che fanno beccheggiare la barca. Andrea, in un primo momento, ne attribuisce le cause alla rifrazione ondosa tipica dell’imboccatura del porto di Ancona che, in prossimità del bacino di carenaggio dello stabilimento Fincantieri, determina sempre una sorta di instabilità ma, come si rivela poco dopo aver oltrepassato l’ultima lanterna rossa, il vero motivo è che il mare oggi è un po’ mosso.
E’ quasi mezzogiorno e siamo in mare aperto. Andiamo bene, navighiamo di bolina verso sud-est a circa 7 nodi. Il Conero, da sempre cospicuo riferimento visivo per i naviganti dell’Adriatico, appare lontano avanti a noi, mentre a dritta osserviamo le grotte del Passetto con il monumento ai Caduti e l’antistante scalinata che le sovrastano. Per sentire meno l’effetto delle onde, Andrea mi suggerisce di poggiare un po’; rallentiamo così l’andatura ma non importa, il buon vento ci consente di mantenerci comunque sui 4 – 5 nodi.
Nel frattempo si discute, pur mantenendo ognuno l’occhio vigile sulle mansioni affidategli. Per quanto mi riguarda, quale timoniere, devo fare attenzione a non poggiare troppo e dare un’occhiata in acqua per evitare di sormontare eventuali nasse.
Si conversa animatamente del più e del meno, raccontandoci episodi ed esperienze di vita personale. Ciò, aggiunto al sole alto che ci scalda e ci abbronza, al profumo fresco del mare, allo stupendo paesaggio della riviera del Conero, è assai piacevole, oltre che di aiuto a distrarci dal leggero senso di nausea. Andrea, che da esperto lupo di mare è forse l’unico a non soffrire per nulla, tira fuori dalla cambusa un vassoio di squisiti salati (pizzette, tortine, sandwich, etc.), da cui tutti attingiamo volentieri qualche assaggio utile a fermare lo stomaco.
Procediamo così per circa un’ora, intervallando le nostre chiacchiere con qualche virata. In tal modo, viene esercitata anche la nostra tecnica marinaresca. Di tanto in tanto ci diamo il cambio a rotazione nelle rispettive mansioni.
Oltrepassata la falesia del Trave, da cui ci teniamo per prudenza a debita distanza per non incappare nel relativo costone roccioso sommerso, approdiamo verso le 13,30 alla baia di Portonovo, tra la spiaggia di Mezzavale e il moletto. Ci avviciniamo un po’ a motore alla costa per stare al riparo dalla corrente ondosa, mentre gli altri abbassano la randa e chiudono il genoa, dopodiché io mi porto a prora per calare l’ancora.
E’ fatta, siamo ormeggiati e finalmente si può pranzare. In pochi minuti allestiamo il tavolino sul pozzetto a poppa, imbandendolo con pasta, pizza, qualche affettato, qualche dolcetto e del buon vino. La sosta dura poco però, perché il rollio si fa sentire e rimanere fermi all’ancora non è poi così agevole oggi: peccato, perché la giornata invece è veramente stupenda e, se non fosse per il fatto che è meglio rimettersi in navigazione, sarebbe anche da fare un bagno!!!
Quindi, riordinate le cose del pranzo in cambusa e salpata l’ancora, verso le 15,00 riprendiamo il largo, dapprima a motore poi, una volta fuori dalla baia, a vela sulla la rotta per il porto di Ancona.
Stavolta il nostro riferimento visivo è il colle Guasco, anch’esso, come il Conero che rimane alle nostre spalle, noto già dai tempi degli antichi greci per la protezione dalle correnti che dà al golfo sottostante, su cui ha appunto trovato insediamento il porto dorico.
Procediamo a circa 6 nodi al lasco, spinti sempre dallo stesso scirocco dell’andata, forse anche un po’ più forte.
Il ritorno, che mi vede quasi sempre al timone, è praticamente all’insegna del silenzio: qualcuno si dà alla siesta sdraiato, altri, come me, semplicemente si godono la melodia delle onde e lo spettacolo del sole che tramonta a ponente. Avanti al Passetto scorgiamo in piccolo gli anconetani che, nel passeggio domenicale di fine estate, si affacciano dal balcone della scalinata a guardare il mare, o qualche coppietta sulla spiaggia in cerca di un po’ di romanticismo; chissà, magari ci osservano anche loro e ci invidiano pure!!!
Verso le 17,45 spunta la cupola della cattedrale di San Ciriaco, poi la testata del molo Nord. Il mare ormai si è calmato, come normalmente avviene nel tardo pomeriggio. Provo a dirigere verso l’interno della diga foranea ma l’uscita dal porto dell’imponente motonave “Hellenic Spirit” ci costringe a passarne al di fuori.
Andrea accende il motore per scaldarlo, mentre gli altri cominciano a chiudere il genoa, per poi calare la randa. A motore, procediamo verso il porticciolo della marina Dorica.
Incrociamo un paio di barche a vela in uscita che, come vuole l’usanza in tutto il mondo, salutiamo con un gesto.
Verso le 18.30 facciamo ingresso all’imboccatura del porticciolo turistico: è Andrea che al timone conduce la manovra per l’ormeggio, mentre io e gli altri cominciamo a calare i parabordi e a riordinare le cime.
I gabbiani che giocano roteando in cielo al di sopra della lanterna sembrano darci il bentornato.
Ognuno di noi ha il viso stanco ma, al tempo stesso, rilassato e sereno, con la pelle secca e la salsedine sui capelli. La soddisfazione per la giornata trascorsa ci dona la carica per tornare alla vita di tutti i giorni, depurati da ogni sorta di pensiero che la quotidianità a volte ci crea; e tutto ciò grazie proprio a quel senso di libertà che solo il mare, goduto nella sua pienezza e nella sua infinitezza, è in grado di offrire.
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